A causa della pandemia da Covid-19 il legislatore ha posticipato l’entrata in vigore del “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” di cui al D.lgs. 14/2019; tuttavia, per le società a controllo pubblico continuano ad essere in vigore le diposizioni previste all’art. 6, comma 2 e dell’art. 14, comma 2 del D.lgs. 175/2016.
Con l’art. 6 del TUSP il legislatore, di fatto, ha anticipato per le società a controllo pubblico l’approccio seguito con il Codice della «crisi d’impresa»; tuttavia, mentre la norma citata tende a favorire l’emersione del rischio di crisi futura, le norme del Codice della crisi d’impresa intervengono a posteriori, quando la crisi è già in atto o comunque molto probabile.
Art. 6, comma 2 prevede l’obbligo per le società a controllo pubblico di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di informare l’Assemblea nell’ambito della “relazione sul governo societario”, che le società predispongono annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale, da pubblicare contestualmente al bilancio d’esercizio.
Il riferimento alla “relazione sul governo societario” appare improprio, in quanto tale relazione è una sezione della “relazione sulla gestione” delle società emittenti valori mobiliari quotati, prevista dall’art. 123-bis del D.lgs. 58/1998 (T.U. della Finanza). Secondo il C.N.D.C.E.C. è opportuno che la relazione non venga redatta come documento separato, ma rappresenti una sezione della Relazione sulla gestione, in modo da non appesantire l’informativa di bilancio.
L’art. 14, comma 2 stabilisce che qualora dai suddetti programmi emerga una situazione di “crisi” aziendale, l’organo amministrativo deve adottare senza indugio di un idoneo piano di risanamento. La mancata adozione di provvedimenti adeguati costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 del Codice civile. Deve essere tenuto presente che la semplice previsione di un ripianamento delle perdite da parte dei soci pubblici non costituisce un provvedimento adeguato, a meno che tale intervento sia accompagnato da un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico (e finanziario) delle attività svolte.
L’obiettivo perseguito dal legislatore è dunque quello di obbligare le società a controllo pubblico ad adottare degli strumenti che consentano di monitorare costantemente il mantenimento dell’equilibrio economico e finanziario, in modo da evitare che eventuali risultati economici negativi o crisi di liquidità possano avere riflessi sui bilanci delle Amministrazioni pubbliche socie.
Molto opportunamente il legislatore ha fissato solo gli obiettivi da perseguire, lasciando libere le aziende di scegliere gli strumenti più adatti.
Il C.N.D.C.E.C. e Utilitalia hanno provato a mettere a punto alcuni modelli di programma di valutazione del rischio di crisi aziendale e, più recentemente, la struttura di monitoraggio presso il M.E.F., costituita ai sensi dell’art. 15 del D.lgs. 175/2016, ha pubblicato in un proprio modello, che rimarrà in consultazione fino al 9 febbraio 2021.
In ogni caso, si tratta di modelli basati sull’analisi dei rischi, sul calcolo di indicatori quantitativi e qualitativi, sull’individuazione di soglie di allarme e sul monitoraggio e reporting. Per le realtà di modeste dimensioni è preferibile implementare modelli con pochi, ma significativi indicatori, che consentano all’organo amministrativo di monitorare la gestione aziendale e, in caso di situazione di crisi, di adottare rapidamente i provvedimenti necessari per prevenire l’aggravamento di tale situazione, correggere gli effetti ed eliminarne le cause.