Continua l’esame del D.lgs. 201/2022… (clicca qui per visualizzare la Parte I dell’articolo)
Il principio di sussidiarietà orizzontale
Si tratta di un principio previsto all’art. 10 del decreto, che dispone che per il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali gli enti locali devono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, e delle imprese.
Solo qualora l’iniziativa privata risulti inidonea a soddisfare le esigenze della comunità locale, gli enti locali possono intervenire istituendo anche servizi di interesse economico generale di livello locale diversi da quelli già previsti dalla legge, che ritengono però necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni di cittadini.
Questi servizi possono tuttavia essere istituiti solo dopo:
- un’apposita istruttoria condotta sulla base di un effettivo confronto tra le diverse soluzioni possibili, da cui risulti che la prestazione dei servizi da parte dei soggetti privati è inidonea a garantire il soddisfacimento dei bisogni delle comunità locali;
- avere verificato che la prestazione del servizio non possa essere assicurata attraverso l’imposizione di obblighi di servizio pubblico a carico di soggetti privati, riconoscendo eventuali compensazioni economiche.
La deliberazione di istituzione del nuovo servizio deve dare conto degli esiti dell’istruttoria effettuata.
La scelta della forma di gestione del servizio
L’art. 14 del nuovo decreto prevede che gli enti locali e gli altri enti competenti possono adottare una delle seguenti modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica:
- affidamento a terzi mediante procedura a evidenza pubblica (favorendo il ricorso alla “concessione”, piuttosto che all’appalto di servizi, in modo da trasferire il rischio d’impresa sul concessionario);
- affidamento a società mista, secondo la disciplina prevista dall’art. 17 del D.lgs. 175/2016;
- affidamento a società “in house”;
- gestione in economia o mediante aziende speciali (solo in caso di servizi diversi da quelli a rete).
Nella scelta della modalità di gestione devono essere tenuti in considerazione:
- le caratteristiche tecniche ed economiche del servizio da prestare, inclusi i profili relativi alla qualità del servizio e agli investimenti infrastrutturali;
- la situazione delle finanze pubbliche;
- i costi per l’ente locale e per gli utenti;
- i risultati prevedibilmente attesi in relazione alle diverse alternative, anche con riferimento a esperienze paragonabili;
- i risultati della eventuale gestione precedente del medesimo servizio.
Prima dell’avvio delle procedure di affidamento del servizio, l’ente affidante deve riportare gli esiti di questa valutazione in un’apposita relazione (che sostituisce quella prevista dall’abrogato art. 34, comma 20 del D.L. 179/2012), nella quale devono essere evidenziate:
- le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione europea per la forma di affidamento prescelta;
- gli obblighi di servizio pubblico;
- le eventuali compensazioni economiche, inclusi i relativi criteri di calcolo, anche al fine di evitare sovracompensazioni.
È espressamente vietata ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al loro regime tributario.
Per i soli servizi pubblici locali “a rete”, la relazione deve essere inoltre integrata con il piano economico-finanziario acquisito all’esito della procedura (quindi predisposto dal futuro gestore), in modo da assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari. Si tratta quindi di una “integrazione” vera e propria della relazione, in quanto il piano economico-finanziario sarà disponibile solo dopo l’espletamento della procedura di affidamento.
Tale piano, fatte salve le disposizioni di settore, deve contenere anche la proiezione, per tutto il periodo di durata dell’affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti e deve essere asseverato da un istituto di credito o da una società di servizi iscritta all’albo degli intermediari finanziari, da una società di revisione o da un revisore legale.
L’affidamento a società “in house”
L’art. 17 del nuovo decreto prevede che, per quanto riguarda l’affidamento a “società in house”, questo può essere effettuato nei limiti e secondo le modalità previste in materia di contratti pubblici e secondo le disciplina dettata dall’art. 16 del D.lgs. 175/2016.
Tuttavia, per gli affidamenti “in house” di importo superiore alle soglie di rilevanza europea (vedi art. 35 del D.lgs. 50/2016) l’art. 17 stabilisce che gli enti locali e gli altri enti competenti sono tenuti ad adottare la deliberazione di affidamento del servizio sulla base di una “qualificata motivazione”, che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un’efficiente gestione del servizio.
In particolare, gli enti affidanti sono tenuti ad illustrare i benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, con riguardo a:
- investimenti;
- qualità del servizio;
- costi dei servizi per gli utenti;
- impatto sulla finanza pubblica;
- obiettivi di universalità, socialità, tutela dell’ambiente e accessibilità dei servizi;
il tutto, tenendo conto:
- dei risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni “in house”;
- dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche cui sono tenuti;
- degli atti e degli indicatori di cui agli artt. 7, 8 e 9 del decreto.
L’attività degli enti locali non si conclude ovviamente con l’affidamento, come erroneamente ritenuto da molti addetti ai lavori, ma deve proseguire con l’analisi periodica dei risultati conseguiti dall’affidatario “in house” e con l’obbligo di dare conto in sede di razionalizzazione periodica delle partecipazioni (ex art. 20 del D.lgs. 175/2016) delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio alla stessa, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione. Queste previsioni, contenute all’art. 17 del decreto, devono coordinarsi con quanto previsto al successivo art. 30 in materi di verifiche periodiche sulla situazione gestionale dei servizi pubblici locali.
La durata dell’affidamento
Secondo quanto previsto all’art. 19 del decreto, fatte salve le discipline di settore, la durata dell’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è fissata dall’ente locale e dagli altri enti competenti:
- in funzione della prestazione richiesta;
- in misura proporzionata all’entità e alla durata degli investimenti proposti dall’affidatario;
- comunque in misura non superiore al periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti previsti in sede di affidamento e indicati nel contratto di servizio di servizio.
Tuttavia, in caso di affidamento a società “in house” di servizi pubblici locali “non a rete”, la durata non può essere superiore a cinque anni, fatta salva la possibilità per l’ente affidante di dare conto, nella deliberazione di affidamento delle ragioni che giustificano una durata superiore al fine di assicurare l’ammortamento degli investimenti.
Qualora l’affidamento venga effettuato per una durata inferiore al piano di ammortamento degli investimenti deve essere riconosciuto in favore del gestore uscente un indennizzo, così calcolato:
indennizzo spettante = valore contabile degli investimenti (costo storico – fondo ammortamento) + rivalutazione ISTAT – contributi pubblici percepiti.
L’indennizzo deve essere posto a carico del gestore subentrante ed è previsto anche in caso di cessazione anticipata del rapporto.
Le clausole sociali
Al fine di tutelare l’occupazione, l’art. 20 del decreto prevede che i bandi di gara, gli avvisi o la deliberazione di affidamento a società “in house” devono prevedere, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’impiego di apposite clausole sociali, secondo la disciplina in materia di contratti pubblici.
Gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali
All’art. 21 del decreto viene riproposta la separazione fra:
- gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni;
- gestione del servizio;
con possibilità del loro affidamento a gestori diversi, garantendo comunque l’accesso equo e non discriminatorio alle reti, agli impianti e alle altre dotazioni patrimoniali essenziali a tutti i soggetti legittimati all’erogazione del servizio.
Gli enti locali, anche in forma associata, ove consentito dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico (le c.d. “società patrimoniali”). Il capitale sociale di tali società è incedibile, in quanto deve essere assicurato che la proprietà di tali beni resti in mano pubblica. Queste società possono porre i beni a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o anche, ove previsto, di soggetti gestori dei beni stessi, a fronte di un canone stabilito dalla competente autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Quindi, si può arrivare ad avere anche un modello organizzativo a tre soggetti: i) società patrimoniale proprietaria della rete, ii) soggetto gestore della rete, iii) soggetto erogatore del servizio (utilizzatore della rete).
Alle società “in house” è consentito anche svolgere la funzione di gestore della rete, oltre che di proprietario della stessa.
Nel caso in cui la gestione della rete, degli impianti o delle altre dotazioni patrimoniali sia affidata secondo una delle modalità viste in precedenza, ancorché separata o integrata con la gestione dei servizi, il soggetto gestore deve applicare la disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici per la realizzazione dei lavori connessi alla gestione della rete, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali.
Tuttavia, qualora tale gestore sia anche in possesso delle previste qualificazioni, se previsto nell’affidamento, potrà realizzare direttamente i lavori necessari. Anche per le gestioni in corso al 31/12/2022 il gestore è obbligato ad osservare la disciplina prevista dal Codice dei contratti pubblici nell’esecuzione dei lavori.
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